Tredici mesi per una mammografia. Tanto bisogna aspettare per effettuare questo esame in una struttura sanitaria pubblica. I dati, che aprono ad attente riflessioni, emergono dal XX Rapporto Pit Salute di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, dal titolo "Sanità pubblica: prima scelta, ma a caro prezzo", realizzato con il sostegno non condizionato di Ipasvi, Fnomceo e Fofi.
Prima scelta, ma a caro prezzo
Lo studio, arrivato alla ventesima edizione, evidenziano una situazione nazionale molto preoccupante. Le liste d’attesa per i pazienti che si rivolgono al servizio sanitario pubblico, infatti, sono davvero chilometriche. Che si tratti di visite specialistiche, esami diagnostici o di interventi chirurgici, i pazienti si ritrovano a fare i conti con la necessità di attendere periodi estremamente lunghi. È il caso, ad esempio, delle mammografie che, in media, richiedono tempi d’attesa vicini ai tredici mesi: più di un anno. Una colonscopia richiede un’attesa di un anno, lo stesso vale per una visita oncologica o una neurologica. Il prezzo da pagare, spesso, per un’attesa tanto lunga, è quello di rimandare l’avvio di cure anche delicate e di andare in contro a costi dei ticket e dei farmaci molti elevati. Il report, però, evidenzia anche la volontà da parte dei cittadini di curarsi nel servizio sanitario pubblico, perché si fidano di questo e, in molti casi, non possono sostenere i costi di una assistenza privata.
I perché di una questione nazionale
“I cittadini – commenta Tonino Aceti, Coordinatore nazionale Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva – non ce la fanno più ad aspettare e a metter mano al portafoglio per curarsi; anche le vie dell’intramoenia e del privato sono diventate insostenibili. Serve più Servizio Sanitario Pubblico, più accessibile, efficiente e tempestivo. E dalla legge di bilancio arrivano pochi e deboli segnali: se da una parte si comincia a metter mano al superticket, anche a seguito di una nostra battaglia, seppur in maniera insufficiente, dall’altra sul finanziamento del SSN arrivano segnali pericolosi che fanno intravedere il rischio di un suo forte depotenziamento”. “E ancora, – aggiunge Aceti – a fronte di dimissioni ospedaliere sempre più anticipate e problematiche, la rete dei servizi socio-sanitari territoriali non è in grado di dare risposte alle persone in condizioni di “fragilità”, come gli anziani soli, le persone non autosufficienti o con cronicità, quelle con sofferenza mentale. È anche per questo che le famiglie fanno sempre più affidamento sui benefici economici derivanti da invalidità civile e accompagnamento. Ma incontrano anche qui difficoltà di accesso crescenti”. Le priorità, per il numero uno del Tribunale di Cittadinanzattiva, oltre a rafforzare gli interventi, le politiche sociali e attuare il Piano Nazionale della Cronicità, sono: rilanciare gli investimenti sul SSN in termini di risorse economiche, di interventi strutturali per ammodernamento tecnologico ed edilizia sanitaria, nonché sul personale sanitario. Senza dimenticare “una strategia nazionale nuova per governare tempi di attesa ed intramoenia; – conclude Aceti – alleggerire il peso dei ticket e revisionare la disciplina che li regola tenendo conto anche dei cambiamenti sociali e dell’alto tasso di rinuncia alle cure. Tutto questo è necessario per dare risposte alle profonde disuguaglianze in sanità che ci vengono segnalate”.
Qualche dato
Spesso per fare fronte a questi disagi un contributo importante può arrivare dalla previdenza integrativa, come quella offerta, ad esempio, da una polizza salute Unipolsai. Tornando all’indagine, basata sull’analisi delle segnalazioni di 24.860 cittadini nel 2016 che hanno riferito ritardi, emerge che le principali problematiche lamentate sono state: liste d’attesa e ticket ed esenzioni, le prime con un dato stabile al 54,1% e le seconde con un aumento dal 30,5% del 2015 al 37,5% del 2016. Si allungano soprattutto i tempi per le visite specialistiche (dal 34,3% del 2015 al 40,3% del 2016), il 28,1% delle segnalazioni interessa i tempi per gli interventi (era il 35,3% un anno fa), terzo posto per esami diagnostici (dal 25,5% 2015 al 26,4% del 2016). Il 37,4% dei cittadini, poi, denuncia i costi elevati e gli aumenti relativi ai ticket per la diagnostica e la specialistica, mentre il 31% esprime disagio rispetto ai casi di mancata esenzione dal ticket (era il 24,5% del 2015).