Quella mattina avevo un appuntamento con Roberto De Simone, grandissimo regista teatrale, compositore e musicologo partenopeo, studioso dell’espressività popolare di Napoli e della Campania, attento al recupero e alla riproposta del patrimonio culturale, teatrale e musicale della tradizione popolare regionale orale e scritta, che indagava sul “campo”, ma anche particolarmente dedito all’approfondimento di quella colta. Mente brillante, talento acclarato ovunque nel mondo, capacità immensa. Ha insegnato Storia del teatro all’Accademia di Belle Arti di Napoli ed è stato direttore artistico del Teatro San Carlo e direttore del Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli. Nel 1998 è nominato Accademico di Santa Cecilia e successivamente insignito del Cavalierato delle Arti dal Presidente della Repubblica francese e del premio Roberto I Sanseverino, organizzato dal comune di Mercato San Severino (SA) e dall’associazione La Magnifica Gente d’o Sud.
Quando arrivai nel foyer del Teatro San Carlo lui era già lì e mi accolse con un grande sorriso luminoso, anche se, solitamente, è un uomo molto riservato e schivo, che secondo me, dietro un aspetto molto serio e composto, nasconde anche un po’ di timidezza. Il Maestro mi chiese di seguirlo ed io, con la mia borsa piena di obiettivi e macchine fotografiche, gli andai dietro. Insieme ci incamminammo tra gli infiniti corridoi e cunicoli del teatro, salendo e scendendo strette scalette disseminate un po’ dovunque; mi sembrava di essere in un labirinto senza fine. Dopo poco, in un corridoio più appartato, lontano dalla grande sala del palcoscenico, De Simone aprì una porticina ed entrammo in una stanzetta laterale. Notai subito un pianoforte e dei manichini con due meravigliosi abiti di scena. Nella stanza c’era anche l’autrice di questi straordinari manufatti, la famosa costumista Odette Nicoletti, che io conoscevo e che avevo già fotografato per il libro ‘Napoli Donna’ e per la rivista CasAmica. Una persona molto solare e affettuosa, che mi salutò abbracciandomi, manifestando la sua contentezza per avermi nuovamente incontrato. Dopo qualche chiacchiera amichevole fra noi, in cui De Simone, con grande umiltà, raccontò anche che la sua famiglia molto povera era sopravvissuta alla guerra grazie alla madre che vendeva il sapone che faceva in casa, mi misi al lavoro. Feci qualche scatto ad entrambi insieme e poi mi concentrai sul Maestro. Decisi di
fotografarlo al pianoforte con al lato uno degli abiti che aveva dipinto sul davanti un enorme angelo color argento. La pellicola della macchina fotografica era in questo caso bianco-nera e lo sfondo della ripresa scuro, per evidenziare meglio i soggetti. Poi, per realizzare anche un ritratto in polaroid, quindi a colori, pubblicato nel libro ‘31 napoletani di fine secolo’, chiesi al Maestro di togliere il giaccone, in modo da poter sfruttare il giallo del suo pullover. Inquadrai in primo piano uno spartito musicale con De Simone dietro, in piedi, leggermente di lato, e scattai, manipolando subito dopo la superficie dell’immagine polaroid. Mentre con la prima, per vedere il risultato aspettai lo sviluppo del negativo, con la polaroid, il risultato soddisfece immediatamente le mie aspettative. Quel piccolo ritratto piacque molto ad entrambi i grandi protagonisti ed io, compiaciuto, dopo aver riposto nella borsa le fotocamere, andai via contento del risultato ottenuto ed anche soddisfatto per aver accontentato uno straordinario autore della tradizione napoletana.
Augusto De Luca