La scelta di sbarcare in borsa è un appuntamento storico per le imprese. Ma affinché una IPO possa essere un successo, non basta solo essere un’azienda vincente, bisogna anche scegliere il momento giusto per la quotazione in Borsa. A conti fatti che ha deciso di compiere questo passo nel 2022 ha fatto male i suoi conti.
Ipo e crollo delle quotazioni in borsa
Negli scorsi anni il mercato globale delle IPO era arrivato alle stelle, inanellando una serie di successi. Nel 2022, complice la crisi globale, lo scenario è stato tutt’altro che generoso. Su tutti i listini mondiali c’è stata una grossa sofferenza da parte chi ha deciso di quotarsi.
I numeri sono impietosì. Il numero di operazioni è crollato del 45%, e chi ha deciso comunque per la quotazione in borsa, il capitale raccolto è stato il 61% in meno rispetto al passato.
Area geografica
La maggior parte delle operazioni si è svolta dell’area dell’Asia-Pacifico. Qui la raccolta complessiva è stato il 67% di quella globale.
Al contrario il bilancio degli Stati Uniti è molto deludente. Sono state condotte in porto soltanto 130 operazioni di IPO, che hanno raccolto un totale di 9 miliardi di dollari. Livelli mai visti dalla crisi globale del 2008. Ma questa tendenza calante ha riguardato l’intero pianeta.
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Le cause del flop
Non bisogna scavare troppo a fondo per scoprire motivi di questo andamento deludente. Il mercato azionario è stato caratterizzato da una forte volatilità, con gli oscillatori trading che sono andati su e giù.
Questo andamento è stato innescato prevalentemente dalle tensioni geopolitiche internazionali e dalle turbolenze soprattutto sullo scenario energetico. Ci si metta anche la lotta all’inflazione, la svolta delle banche centrali sul fronte dei tassi di interesse, ed ecco completo il quadro che ha generato un contesto negativo per le valutazioni azionarie delle imprese.
Le mosche bianche
I casi di IPO che sono andate a buon fine si contano sulle dita di una mano. LG Energy Solution (10,7 miliardi di dollari raccolti), Cnooc a Shangai (5,1 miliardi), Porsche sul mercato tedesco (8,7 miliardi), la Dubai Electricity and Water Authority (6,1 miliardi) e la China Mobile ancora a Shangai (8,2 miliardi).Ricchezza, oltre 400 miliardi per i re dei Big Tech.