Il rock sta tornando di moda in Italia. Suoni vecchi su mani giovani, ricerca di accordi sulla chitarra elettrica, prove di una voce graffiante. Purtroppo le mode vanno e vengono. Sono fatte così, è la loro natura. Ma i The Fottutissimi, nati trio e rinati quartetto, non ci stanno. Se l’Italia è tornata rock, lo deve far vedere, ci deve tenere.

E così presentano il nuovo singolo, che sembra parlare non solo all’Italia che si è riscoperta rocker, ma a tutto il mondo. Questo spiega la scelta dell’inglese per il testo, un testo essenziale, diretto, nudo come l’anima che lascia intravedere. Del resto la canzone si inserisce pienamente nel genere punk rock e nell’essenzialità che sempre gli è compagna.

Il brano è introdotto nei suoi primi 9 secondi da suoni indistinti da sala prova, un effetti chiaramente intenzionale cui si lega quasi in un continuum una classica introduzione punk rock, coi suoi ritmi netti, essenziali. Fin dall’inizio ci si cala in un clima che ricorda gli Offspring, ma che ha anche il vago sentore delle atmosfere bonjoviane. Il testo è essenziale ma parla di aridità, di desiderio di fuga e legami.

La prima battuta cantata fa emergere un senso di ricerca di un nuovo, solo vagheggiato, posto dove muoversi, dove riuscire ad essere davvero se stessi. Le frasi denunciano l’urgenza di andarsene da quel nulla in cui ci si trova. Non è mai specificato cosa sia effettivamente questo luogo da cui il narratore vuole fuggire, quello dove ogni giornata è uguale alle altre nella sua tragica mediocrità; eppure un po’ ricorda la quotidianità stanca di ognuno di noi, la routinaria apatia dei giorni senza fine.

Il mondo vive ovunque tranne che là, quindi perché non andarsene? “If I will stay I’ll be stupid”: se rimango sono uno sciocco, a che vale rimanere? Eppure in quella maledetta terra della mediocrità c’è lei, che gli brucia come fuoco nelle vene. È lei l’unica ragione per provare a stare bene là. La figura femminile è introdotta quasi senza prendere fiato, quasi legata alla frase appena finita di pronunciare; forse per sottolineare come la sua presenza sia direttamente legata a quel restare che fa sembrare stupidi. Il pezzo ripete se stesso, nelle tre strofe appena succedutesi, per rimarcare forse la vacuità dello stare e la necessità di rimanere, perché c’è lei. Perché l’amore basta a se stesso, perché esso semplicemente vale sempre la pena. Eppure l’espressività melodica leggermente differente con cui si chiude il secondo “She’s the reason why I try to be all right” fa presagire che c’è qualcosa da aggiungere, che forse l’amore non basta. E difatti la canzone esplode nella finale ripetizione della frase iconica: “She’s not enough”. Non è abbastanza. Non basta la presenza di lei per ancorarlo in quel non specificato deserto di senso. Non basta a se stesso l’amore in quel luogo deserto e senza scopo. Il cantante ripeterà per sette volte il concetto. Forse per sottolinearne la forza, forse per convincersene lui stesso. Lo ripeterà sette volte, con sempre maggiore intensità, fino a che la sua voce finirà per confondersi con il solo finale di chitarra, che sembra fissare la tragicità, come anche la definitività, della frase.

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