Ancora una volta le scorte di petrolio sono scese. Secondo i dati resi noti dal EIA, ovvero la divisione del Dipartimento dell'Energia americano, nella settimana al 16 giugno 2017 sono risultate in diminuzione di 2,5 milioni a 509,1 MBG (-2.1 milioni il consensus). Negativi anche i dati riguardanti gli stock di benzine, che sono sono calati di 0,6 milioni di barili a 241,9 mbg (gli analisti preventivavano una discesa di 0,4 milioni). Le scorte di distillati sono salite di 1,1 milioni a 152,5 mbg, mentre scendono a 685 mbg le riserve strategiche di petrolio.
Continua quindi il momento negativo per il mercato dell'oro nero. Quando a novembre scorso venne definito l'accordo per la riduzione della produzione, sembrava potersi aprire la strada verso la stabilità del mercato. Invece non c'è stato nulla di tutto questo. L'OPEC è riuscito ad arginare la caduta del petrolio, ma ogni volta che si è superato quota 50 dollari c'è stato un successivo arretramento. Colpa degli USA, che hanno aumentato l'intensità delle loro trivellazioni.
Da novembre a oggi, non è cambiato lo scenario del petrolio
A novembre scorso il mercato del petrolio sembrava poter assaltare quota 60 dollari, e l'oro nero era diventato un punto fermo delle opzioni binarie 60 secondi strategie vincenti di molti trader. I più attenti però guardavano ai tanti fattori di rischio che avrebbero potuto verificarsi (e lo sono stati). La politica energetica dell’amministrazione Trump, la flebilità degli accordi OPEC, il guardarsi con sospetto dei paesi del cartello con quelli che non ne fanno parte. Alla fine tutti questi fattori continuano a far sentire il loro peso.
Tornando a oggi, subito dopo la diffusione del report i prezzi del petrolio hanno allungato il passo spingendosi poco sopra la soglia dei 44 dollari al barile, salvo poi tornare indietro, con un calo dello 0,25% rispetto al close di ieri. Il mercato resta poco stabile quindi, e suggeriamo di rivolgersi ad asset meno in affanno (come EurUsd, qui trovi le previsioni cambio euro dollaro 2017).
Alla base del pessimismo degli operatori c'è il timore di un eccesso di offerta sul mercato, che viene ulteriormente alimentato dalla crescita della produzione di Libia e Nigeria (oltreché che al già costante sviluppo dello shale oil USA nell'ultimo anno).