Ho iniziato a frequentare assiduamente le esposizioni di Giuseppe Morra, noto come Peppe, dall’inizio della mia carriera di fotografo negli anni 70. Gallerista raffinato e colto, collezionista, mecenate, squisito ricercatore e valorizzatore della cultura delle comunicazioni visive, senza fermarsi alla prima impressione e scavando nel profondo, si è distinto dagli altri proponendo artisti importanti ma che operano al di fuori di schemi tradizionali e commerciali, come quelli dell’Azionismo Viennese della Body Art.
A seguito di molteplici contatti con Lucio Amelio, su cui mi sono soffermato in precedenza, ne è diventato presto amico e, dopo aver creato al Vomero il Centro d’Arte Europa, con Luigi Mainolfi, Giuseppe Maraniello, Errico Ruotolo, ha accolto con gioia il suo prezioso suggerimento di inaugurare uno spazio al centro di Napoli, per poi andare oltre e diventare un promotore culturale, dando vita al Museo Nitsch e, con alcuni amici, al Quartiere dell’Arte. Convinto assertore dell’individuale capacità di concepire l’esistenza senza legarsi a schemi mentali precostituiti o alle mode del momento, ha fatto del suo interesse per la filosofia la molla propulsiva della sua indagine sulla Bellezza, compiendo, di continuo, scelte molto singolari ma sempre vincenti. Per citarne una: nella sua vecchia galleria Studio Morra, sita in un antico palazzo di via Calabritto a Napoli, Marina Abramović realizzò, nel 1974, la famosissima performance, la Rythm 0, restando passivamente immobile per sei ore, dalle 20:00 alle 2:00 del mattino, a completa disposizione del pubblico.
Su di un tavolo c’erano fiori, strumenti di tortura e persino una pistola con un colpo. Chiunque, in questo lasso di tempo, dopo aver letto le istruzioni riportate a corredo dei 72 oggetti forniti, le avrebbe potuto fare tutto ciò che voleva: ferirla, muoverla, denudarla. Insomma, si trattava di un esperimento nell’esperimento per indagare le tensioni del genere umano tra abbandono e controllo. E solo un innovatore come Peppe avrebbe potuto intuire le potenzialità di questa pièce. Per fargli un ritratto andai a trovarlo nel suo suggestivo Museo in vico Lungo Pontecorvo, nel cuore di Napoli, un’ex centrale elettrica dedicata dal 2008 al grande artista viennese Hermann Nitsch, di cui ho trattato in un precedente articolo. Come sempre, Peppe si fece trovare vestito di nero, fatico a ricordarlo con indosso abiti di colore diverso. Mi accolse con grande affetto, mettendosi a mia completa disposizione.
Girammo un po’ tutte le stanze del Nitsch, alla ricerca di un luogo che gli facesse da sfondo. In verità gli spazi erano tutti bellissimi ed io feci diversi scatti, ma alla fine scelsi le due immagini che pubblico qui. La prima realizzata su di una scaletta che porta ad alcune stanze di sotto, perché mi piaceva il movimento di quei muri alle sue spalle, e la seconda, più essenziale e minimalista, sul magnifico belvedere all’ingresso dell’edificio, con il dettaglio del Vesuvio sullo sfondo alle sue spalle e una tenda bianca a sinistra, che bilanciava il ritratto a destra. Prima di andar via gli chiesi di farmi incontrare Nitsch per realizzargli un ritratto, cosa alquanto difficile data l’età e la riservatezza del personaggio. Ne fu entusiasta e mi promise che appena il performance artist austriaco sarebbe venuto nuovamente in città, lo avrebbe convinto organizzando l’incontro… cosa che puntualmente fece, mostrandomi, ancora una volta, la sua serietà e affidabilità come amico e come uomo.
Augusto De Luca