Sono amico di Mario Insenga da quando ero ragazzino, più o meno una cinquantina d’anni. Conoscevo bene anche tutta la sua famiglia e d’estate ci incontravamo nella sua splendida villa ad Ischia, dove preparavamo brani da suonare in diversi locali dell’isola. Insieme abbiamo fatto parte di molti gruppi dalle denominazioni più strane, in quel periodo, infatti, erano di moda nomi lunghi e particolari e noi ci adattammo. Ricordo una band che chiamammo ‘La Tristezza del Rospo’, che dopo innumerevoli variazioni diventerà, con il tempo, ‘Blue Staff’. Come ho raccontato in un precedente articolo, avevamo ottimi strumenti musicali e, di solito, i brani da montare li provavamo nello scantinato della mia casa al Vomero. Mio padre si era preoccupato di far foderare di legno la stanza, il che la rendeva sicuramente più bella, ma, soprattutto, per quanto possibile, provava ad isolarla almeno un po’ acusticamente, così da placare le lamentele dei condomini del palazzo che, puntualmente, pretendevano abbassassimo il volume degli amplificatori. Mario, dopo essersi laureato in ingegneria, decise di dedicarsi totalmente alla musica blues, io, invece, dopo la laurea in giurisprudenza, ho smesso di suonare e ho continuato professionalmente quello che avevo iniziato per gioco: fotografare.
Bravissimo percussionista, autore della maggior parte dei testi, cominciò successivamente a sfruttare anche la sua voce molto adatta a quel genere musicale che affonda le radici nell’anima tormentata della Chicago dei primi del Novecento. Oggi, a distanza di anni, è un punto di riferimento, un maestro nel panorama del blues italiano. L’ultima volta che abbiamo suonato insieme è stato alla fine degli anni 90, quando mi invitò per una jam session insieme nel Big Mama, storico locale di Roma. Io portai la mia chitarra e con il suo storico gruppo i ‘Blue Stuff’, fondato nel 1982, ci divertimmo tantissimo. Una band rivoluzionaria nell’ambito della musica del diavolo, che, reinterpretando il blues delle origini fa della ricerca e della sperimentazione i suoi punti di forza, usando il napoletano come lingua nei testi delle canzoni. Una carriera strepitosa, con tournée in Italia e all’estero e jam session con bluesman come Willie Mabon, Jimmy Dawkins, Blind John Davis, Little Pat Rushing, Magic Slim, Sammy Lawhorn, Albert Collins, Billy Preston, Sarasota Slim, Billy C. Farlow, Little Willie Littlefield, Charlie Musselwhite, Luisiana Red, Sunnyland Slim e tanti altri. Ormai da anni, Mario tiene laboratori di blues e seminari per associazioni musicali, istituti scolastici, librerie, festival.
Che meraviglia ascoltarlo! Per fotografarlo andai in una sala prove fuori Napoli, dove, in un cortile laterale, c’era una struttura in legno che mi ricordava le copertine dei dischi di alcuni gruppi americani di country blues. Era proprio quello che volevo; avevo sempre immaginato il mio amico in un ambiente simile, molto rurale, campestre, che evocava le musiche dei Canned Heat o Creedence Clearwater Revival. Dopo lo scatto ci spostammo e, mentre chiacchieravamo, mi accorsi della sua ombra sul muro. Mi piacque molto e lo immortalai in una seconda immagine. È da un po’ che non lo incontro, ma la nostra amicizia rimane salda e ogni volta che ci vediamo sembra sempre di esserci lasciati il giorno prima…
Augusto De Luca