Il violino è uno strumento che mi ha sempre affascinato per il suono, ma anche per le venature e le sinuosità delle forme dei suoi legni. Ricordo sempre con stupore e ammirazione, la bellezza di uno dei due Stradivari di Salvatore Accardo, che ebbi la fortuna di ammirare da vicino, di cui ho parlato in un precedente articolo.
Detto questo, mi aveva sempre incuriosito il suono di un violino che molte volte avevo ascoltato nei brani e nei concerti di grandi artisti come Pino Daniele, Peppe Barra, Lucio Dalla, Adriano Celentano, Tullio De Piscopo, Edoardo Bennato e Claudio Baglioni. Era uno strumento con un suono unico, passionale, vigoroso, travolgente, infuocato, ma anche moderno. Ma chi era quel musicista che mi aveva sempre affascinato? Di chi era quella mano dal tocco sicuro, nervoso eppure dolcissimo, capace di straziarmi l’anima, facendomi attraversare una varietà infinita di emozioni? Quel maestro, e poi scoprii anche ottimo compositore, era Lino Cannavacciuolo ed io desideravo conoscerlo e fotografarlo. Un musicista poliedrico, travolgente, che fa della sublime ricerca di nuovi linguaggi musicali e della sperimentazione la sua chiave di volta, e che, con tecnica sapienziale, riesce ad equilibrare in modo assolutamente personalissimo, tradizione ed innovazione. Un vero e proprio animale da palcoscenico, dalla forte presenza scenica, che calamita l’attenzione in modo quasi ipnotico. Tanto bravo da aver lavorato anche con Eduardo De Filippo, Luca De Filippo, Roberto De Simone e aver curato la colonna sonora di importanti film per la regia di Massimo Andrei, Fabrizio Costa, Giacomo Campiotti, Luca Ribuoli, Eugenio Cappuccino, e che, nel corso della sua carriera, ha ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti. Cominciai a chiedere ai tanti amici che ho nell’ambiente musicale, riuscii ad avere il suo numero telefono, lo contattai e, qualche giorno dopo, mi recai nella sua casa a Pozzuoli (NA).
Lino è un vero artista, innamorato del suo strumento. Quando lo prende per suonarlo gli brillano gli occhi e le sue mani volano sulle sue corde. Entrammo nel salotto di casa ed imbracciò il violino elettrico per farsi fotografare, ma io gli dissi che avrei preferito ritrarlo con un violino classico di legno; allora lui andò a prenderlo e, tornato, cominciò a suonare. Incantato da quel suono rimasi lì, di fronte a lui, incapace di scattare, concentrato ad ascoltarlo; solo dopo un po’ di tempo realizzai che, se volevo cominciare a lavorare, dovevo liberarmi di quella deliziosa suggestione. Feci molti scatti ma poi fui attratto dal terrazzo assolato di quella stanza. Uscimmo e sfruttai tutta quella luce per utilizzare l’ombra del violino come secondo soggetto da correlare al profilo dell’artista. Quindi decisi di realizzare anche un’altra immagine, qui pubblicata con il riccio appoggiato alla sua fronte, come se lo strumento e il musicista entrassero in una relazione più profonda, quasi simbiotica. Alla fine, fui molto soddisfatto di quegli scatti e, mentre stavo per andarmene, Lino mi chiese di fotografare per il suo sito una piccola sala di registrazione che aveva al primo piano di quella casa. Feci uno scatto a colori e lui, per ringraziarmi, mi regalò due suoi CD, che ascoltai in macchina al ritorno. Erano talmente belli che dei brividi mi attraversarono tutto il corpo mentre pensavo che quell’uomo era davvero un genio.
Augusto De Luca