Dai ricordi del fotografo Augusto De Luca.
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“Questa serie fotografica che io chiamo “Colore”, é stata realizzata dalla metà degli anni ’70 agli ’80. In quegli anni a Napoli si faceva prevalentemente fotografia di reportage in bianco e nero, quindi il mio colore spiazzava, incuriosiva e sovvertiva il normale utilizzo del mezzo fotografico. Dal mio colore fu molto colpito Giuseppe Alario, direttore della Kodak per il centro-sud, che facendomi letteralmente bruciare le tappe, mi catapultò nell’ambiente della fotografia italiana. Era un periodo di pura ricerca. L’ambiente culturale napoletano e italiano era straordinariamente vivace. Chiaramente queste immagini a colori sono state realizzate con macchine fotografiche analogiche; all’epoca scattavo con una Contax. Negli anni ’80 c’erano le pellicole ed io utilizzavo diapositive Kodak Ektacrome 64 asa che i laboratori sviluppavano in un’ora.
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L’uso di obiettivi Carl Zeiss poi sicuramente favoriva la saturazione, la forza e la qualità dei colori. Per ottenere queste immagini adoperavo due tecniche: la doppia esposizione sullo stesso fotogramma ed il sandwich. Con la doppia esposizione, prima riprendevo soli al tramonto e lune con filtri rossi, sottoesponendo lo scatto in modo da avere la restante parte della pellicola ancora vergine e successivamente con un secondo scatto (sulla parte vergine dello stesso fotogramma) inserivo una struttura ed elementi architettonici che non solo facessero da sfondo, ma anche da contrappunto a quelle forme rotonde (soli e lune). Il risultato finale era un’immagine sicuramente veritiera, che però generava uno spaesamento grazie alla sua atmosfera metafisica.
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Con il sandwich invece la scelta creativa era successiva allo scatto. Infatti prendevo due diapositive già sviluppate e sovrapponevo le immagini scegliendo l’accoppiamento che più mi soddisfaceva, poi rifotografavo il tutto e ottenevo così una sola immagine, che era il risultato di due sovrapposte. Due tecniche “preistoriche” se rapportate all’attuale photoshop, ma ancora oggi di grande impatto visivo.
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Nelle mie immagini la poetica deve essere imbrigliata dalla geometria. La grammatica dà senso all’immagine, e ia rende fruibile e leggibile. Senza metrica non c’è né forma né poesia. Senza pentagramma non si può scrivere la partitura. L’input emotivo nasce dallo scontro tra materia viva e materia morta: il sole e la luna si contrappongono alle linee rette e dure dei muri. La sinuosità si scontra con lo schematico angolo retto: è questo il punto focale di queste immagini, che traggono la loro forza evocativa proprio dallo scontro tra realtà antitetiche e dal contrasto materico e cromatico.
Però con il passare degli anni e con il passaggio dal colore al bianco e nero, forse sono diventato un purista della fotografia, che con un solo scatto esaurisce pienamente e interamente il processo creativo”.
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