Fabrizia Ramondino Io e la giornalista Giuliana Gargiulo nel 1987 andammo a casa di Fabrizia Ramondino, illustre scrittrice scomparsa qualche anno fa, per realizzare un’intervista e un ritratto che sarebbero stati pubblicati nel libro ‘Napoli Donna’, Centro il Diaframma – Edizioni Editphoto. Viveva all’ultimo piano di una bella casa nel centro storico, con un terrazzo che si affacciava sui tetti della Napoli antica e il Vesuvio di fronte. Aveva vissuto un po’ ovunque, in Italia e all’estero, soprattutto da piccola, dato che il padre era un diplomatico, ed era legata, in special modo, a Spagna, Francia e Germania. Coltissima, dalla formazione cosmopolita, si era poi laureata in francese all’Istituto Universitario Orientale di Napoli, dandosi all’insegnamento, all’attività sociale e alla solidarietà.
Già negli anni 60 si occupava di cronaca, inchieste sul territorio e disoccupazione, partecipando alla vita politica e aderendo al movimento della Nuova Sinistra. Da buona eclettica, si dedicava a reportage, poesia, prosa autobiografica e non, romanzi e sceneggiature, con un ottimo riscontro dalla critica, che scorse in lei un’impronta proustiana. Era una donna minuta ed esile come una ragazzina, sorridente e delicata: dai suoi modi traspariva una fragilità che si manifestava in un modo di fare molto prudente e forse anche un po’ diffidente. Insomma, si capiva che la sua vita non era stata facile. A cominciare dalla morte improvvisa del padre, che aveva costretto la famiglia ad un brusco rientro nel capoluogo campano in ristrettezze economiche, per passare al suicidio dell’amico Carlo Cirillo, con cui si impegnava in varie attività nell’Associazione per il Risveglio di Napoli, al fallimento del matrimonio con il nobile Francesco Alberto Caracciolo, aspirante pittore, e alla relazione turbolenta con Livio Patrizi, da cui ebbe l’unica figlia, Livia. Ci offrì un ottimo caffè e mentre Giuliana si accingeva ad intervistarla, io cercavo un’inquadratura e uno sfondo giusto per il ritratto. Raccontò molti aneddoti della sua vita, aprendoci il suo cuore completamente e soffermandosi anche su alcuni aspetti dolorosi, che l’avevano segnata. Fino a qualche anno prima, infatti, era stata un’alcolista, e nonostante le amiche e la sorella avessero in tutti i modi cercato di aiutarla a guarire, quello che aveva contribuito a tirarla fuori da questo tunnel era stata la lettura del libro ‘Diario’ di Elly Hillesum, incentrato sulla vita di una giovane ebrea non praticante in pieno nazismo, una narrazione che ricorda in parte quella di Anna Frank, che le fece capire che ci si può salvare anche in casi estremi, quando tutto sembra precipitare verso la fine. Dopo questo capitolo triste ci spiegò anche che nella sua vita l’amicizia aveva avuto un’importanza maggiore dell’amore e che bisogna amare il prossimo perché è te stesso, non come te stesso. Fui colpito da questi suoi racconti e, come d’impulso, decisi di fotografarla tra due trame, quella di una pianta e quella di una tenda, fitte come quelle della sua vita. Nel ritrarla sottolineai ed evidenziai poi con delle aperture attraverso le foglie, soprattutto i suoi grandi occhi e quella sigaretta che la caratterizzava in modo particolare così perennemente accesa tra le sue dita. Quello fu davvero un incontro speciale che, sicuramente, arricchì la mia vita.
Augusto De Luca