Proprio qualche giorno fa, era il 17 giugno, siamo tutti rimasti sconvolti dalla notizia di una sparatoria avvenuta alle ore 19:00 nei vicoli dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Due persone sono state ferite casualmente ed una di esse era proprio il mio carissimo amico Enrico De Maio, di 57 anni, che per fortuna, dopo un difficile intervento al fegato in ospedale, ora è in via di guarigione. A lui oggi desidero dedicare questo mio breve scritto, per ricordargli che molte persone gli vogliono bene e lo aspettano per riabbracciarlo.
L’ho conosciuto perché, come me, frequenta un cammino di fede alla chiesa Corpus Christi in via Manzoni. Anche lui è un artista e questo ha subito creato un feeling particolare che ci ha avvicinati. Enrico è prevalentemente uno scultore molto raffinato, ma in realtà, avendo studiato all’Accademia, conosce e pratica diversi generi d’arte. Comunque preferisce utilizzare materiali come la pietra lavica del Vesuvio, il legno, il ferro, spesso creando strutture ed istallazioni surreali e metafisiche anche molto grandi. È uno specialista in tecniche di fusione, colatura e lavorazione a caldo del vetro, insomma è un artista davvero poliedrico e sicuramente anche un uomo di grande sensibilità e umanità. L’arte è per lui il mezzo di espressione e comunicazione di un contenuto alto ed universale e in tutte le sue opere, con grande originalità, riesce a trasmettere il senso più profondo dell’energia del cosmo. La ricerca di interazioni tra uomo e ambiente diviene, quindi, quel fattore essenziale che permette alle sue creazioni di acquistare senso e significato completo. Il fruitore, di contro, è inebriato da emozioni esplosive, tanto da rimanerne, in parte stordito, quasi da avvertire un senso di vertigine. La vita stessa diventa, così, elemento imprescindibile di ogni suo lavoro, a maggior ragione nelle sculture cinetiche, che divengono un tutt’uno con l’ambiente circostante. Tematica costante della sua poetica è la determinazione ad oltrepassare il dato sensibile, per arrivare all’essenza del Tutto. Ecco spiegato perché ama utilizzare il vetro, che con le sue sinuose trasparenze e fragilità diviene emblema della disgregazione della materia e della vittoria dello spirito. Spesso io e mia moglie andiamo a trovarlo alla sua casa al Vomero, dove vive con la moglie Laura, i due figli Elio e Nadia e il loro cane; è sempre molto bello ritrovarsi, stare insieme e, assaporando qualche buon piatto, parlare della comunità, degli amici o di arte. Proprio in uno di questi incontri, avendo con me la fedele fotocamera, decisi di ritrarlo. Nel guardarmi in giro fui colpito da un manichino che mi ricordava l’opera intitolata ‘Head in a Cage’ del surrealista André Masson. Lo presi, lo portai nel salottino e posizionai Enrico in modo che fosse incorniciato da quel corpo – scultura che avrei poi ripreso, solo parzialmente, nell’inquadratura, per renderlo quasi irriconoscibile, aumentandone così l’ambiguità e il mistero. Enrico indossava un paio di occhiali con una montatura scura che stesso lui aveva progettato e che a me sono sempre piaciuti molto. I giochi erano fatti e lo scatto ha fissato per sempre quel magico momento. Tutto questo avveniva mentre le nostre donne, inconsapevoli, ci preparavano qualche succulento manicaretto, che avremmo assaggiato di lì a poco. Che stupenda serata… non vedo l’ora di gustare nuovamente anche il calore dell’accoglienza di questa bellissima famiglia.
Augusto De Luca